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Con i suoi tipici tratti fisionomici (il naso «enorme e spropositato»), la complessa e metamorfica natura corporea, Pinocchio rappresenta una sintesi dell’esperienza antropologica dell’essere umano. Nella sua unicità iconica, come corpo e nel corpo, prova sentimenti e affetti; sperimenta la dura fatica del lavoro nella sfida della sopravvivenza e incontra la morte: di Lucignolo e propria per impiccagione; si scontra con il cinismo brutale o la malvagità; scopre la bontà o l’amicizia; vive. Si muove con l’allegria fiduciosa dell’infanzia, la baldanza un po’ incosciente della giovinezza, la fermezza lucida della maturità che ne salvaguarda dall’oblìo le utopie e lo stupore. Pinocchio è arcaico e moderno insieme: il burattino-bambino è continua soglia o passaggio verso qualcosa di cosmico e universale, entro cui si colloca ogni principio di vita; ed è specchio di un mondo tutt’altro che finito nell’età della robotica, del cosiddetto transumano o post-umano. Quel Pinocchio «maraviglioso» riguarda non solo il nostro passato, ma anche il futuro dell’infanzia e della stessa nostra specie, calata oramai entro gli orizzonti di una realtà dove le nuove tecnologie consentono di ampliare lo sguardo dell’essere umano e di spostare sempre oltre linee di demarcazione esperienziali e conoscitive, che si credevano inattingibili.
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