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«Chi forma poi la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio accidentale d’uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite, tengono dell’uno e dell’altro estremo».
I capitoli della rivolta del pane, nel giorno di San Martino del 1628, segnano l’entrata di Renzo nella città di Milano e insieme il suo ingresso nella Storia, che da «spettatore» lo vedrà trasformarsi in osservatore partecipe, e infine in agente: parte di quella «moltitudine» («folla» o «massa») che lo attrae fin da subito e che è forse il vero, modernissimo protagonista dell’episodio. La lettura indagherà i modi della rappresentazione di questa entità collettiva dai variabili connotati metaforici, e i diversi possibili (con)testi di riferimento alla sua base, dalle fonti storiche dei tumulti utilizzate dal romanziere, al riverbero di un passato ben più prossimo, ovvero la Rivoluzione francese, coi suoi postumi. Nell’immagine della statua di Filippo II, la cui testa soccomberà a quella del tirannicida Bruto per poi essere definitivamente decapitata, si condensa, emblematica sintesi, la stratificazione temporale del romanzo, “riscritto” a partire dall’anonimo seicentesco. E non sarà forse un caso che quando l’episodio manzoniano verrà a sua volta riscritto, l’ottuagenario narratore delle Confessioni di Nievo lo riporterà proprio al contesto rivoluzionario, ma facendo riecheggiare accanto al grido per la libertà quello originario, più concreto: «Pane! pane! Libertà…! Polenta…!».
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